Poco a sud di Trento il solco dell’Adige assume una nuova denominazione: da qui la vallata, che si preannuncia ampia e dolce per diventare più angusta e aspra al limitare della provincia trentina con quella veronese, si chiama Val Lagarina. Dall’una e dall’altra sponda vi convergono altre valli e vallette, incise da altrettanti torrenti che portano il loro contributo di limpide acque al fiume Adige che con moto tranquillo procede verso la Pianura padana e la destinazione adriatica.
La Vallagarina, di chiara origine glaciale, è caratterizzata da un clima di transizione fra il padano e il medio europeo con isole microclimatiche del tipo gardesano. Un clima mite, asciutto, influenzato dall’”òra” del vicino Garda. Gradevole è il paesaggio che fa cornice a Rovereto, la ridente “Città della Quercia”, ricca di tradizioni storiche, culturali, economiche: un paesaggio fatto di panoramiche balze, di ariosi declivi e, infine, di verdi pascoli sovrastati dalla roccia calcarea ora biancastra e ora rossiccia.
In valle domina la vite, che, coltivata con sistema intensivo, costituisce pressoché l’unica espressione dell’economia agricola. Il “marzemino gentile” è l’alfiere dell’enologia locale. I pergolati, costruiti con l’amore e l’ambizione dell’agricoltore bagarino, sottolineano anche cromaticamente il fondovalle e le pendici che lo serrano d’intorno. Ogni qual tanto la geometrica composizione del vigneto è rotta dagli insediamenti umani e dai fascinosi castelli che qui ornano l’elemento monumentale-paesaggistico dominante. A destra e a sinistra se ne contano a decine: alcuni ridotti in rovina, alcuni ancora nella loro antica bellezza. La sola maestosità di Castel Beseno basterebbe a caratterizzare l’ambiente bagarino.
Alle maggiori altitudine prevalgono altri motivi paesaggistici che hanno consentito lo sviluppo dell’attività turistica legata agli sport invernali, affiancandosi alle originarie modeste economie agro-silvo-pastorali (Polsa-San Valentino).
Vigneti in Vallagarina (foto www.stradedelvinotrentino.it Florio Badocchi)
Sulle ultime pendici del Finonchio e a cavallo del corso terminale del Leno si trova Rovereto. Domina la parte centrale della Vallagarina, avendo in faccia la catena del Bondone-Stivo, la breve gola che porta al Garda e, più a sud, il monte Baldo. La città ha origini nella preistoria, ma ben documentata ne risulta la colonizzazione romana. La primitiva matrice si è sviluppata in prossimità del castello, ricostruito nel XIV secolo dai Castelbarco. A quell’epoca l’abitato è stato anche protetto con una cerchia di mura.
L’impronta maggiormente caratterizzante, e ancor oggi tanto evidente, è stata lasciata dalla dominazione della Repubblica di Venezia (dal 1416 al 1509): la denunciano l’assetto urbanistico, l’edilizia, la toponomastica, la parlata dialettale e le tradizioni. La Serenissima vi portò l’allevamento del baco da seta che in seguito originò l’industria serica, la quale, fino a metà del XX secolo, ebbe un ruolo di fondamentale importanza nell’economia della città e dell’intera vallata. Fu infatti l’industria della seta che portò tanta ricchezza da consentire la trasformazione della tradizionale economia agricola in quella industriale e commerciale e la promozione di quelle iniziative culturali che richiamarono in città i nomi più in vista della cultura e dell’arte del tempo. In questo periodo il borgo viene ad acquisire altra dimensione e diverso aspetto in virtù di realizzazioni edilizie solenni che gli danno decisamente il volto di città. E con la nuova dimensione Rovereto assume anche la funzione di pilota nel settore delle attività economiche e culturali dell’intera provincia.
Centro storico di Rovereto
Il vecchio agglomerato urbano è quello che conserva i monumenti più pregevoli: testimonianza di uno splendido passato.
L’Accademia degli Agiati, il Teatro Comunale, i palazzi Pretorio, della Cassa i Risparmio, Fedrigotti, dell’Annona, della Pubblica Istruzione e Rosmini; la chiesa delle Grazie, l’arcipretale di San Marco e quella di Santa Maria; la biblioteca, la pinacoteca e i musei parlano di un impegno culturale consolidato in una tradizione tutt’oggi rispettata e ampliata (basti pensare alla nuovissima sede del Mart).
Rovereto è patria del filosofo Antonio Rosmini, degli archeologi Paolo Orsi e Federico Halbherr, dei pittori Fortunato Depero e Roberto Iras-Baldessari, del musicista Riccardo Zandonai. Interessante il Museo Storico della Guerra, la Monumentale Campana dei Caduti di tutte le guerre e il Museo Civico.
Discorso a parte merita il Mart, museo di arte moderna e contemporanea ospitato nel nuovo edificio progettato dall’architetto Mario Botta e da Giulio Andreolli. Custodisce un patrimonio di oltre 15.000 opere tra dipinti, disegni e sculture, di cui una parte rilevante è dedicato al Futurismo, con circa 3.000 opere dell’artista trentino Fortunato Depero. Queste ultime sono state donate dall’artista alla città di Rovereto e oggi affidate al museo, insieme alle opere di altri esponenti futuristi. Il '900 italiano è rappresentato con opere di particolare pregio di Massimo Campigli, Osvaldo Licini, Mario Sironi, Carlo Carrà, Filippo de Pisis, Giorgio Moranti, Gino Severini, Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Felice Castrati, Lucio Fontana e tanti altri artisti contemporanei.
Ingresso del Mart di Rovereto
A sud il sobborgo di Lizzanella e l’antico paese di Lizzana, fra loro divisi dallo sperone un tempo presidiato da Castel Dante e ora dalla mole dell’Ossario di undicimila caduti. La stata statale taglia quindi i Lavini di marco (la frana che si vuole identificare con la dantesca “ruina che nel fianco – di qua da Trento l’Adice percosse”), supera gli abitati di Marco e di Serravalle, lascia sull’altra sponda Chizzola e sfianca Santa Margherita. Appena in disparte, sulla rupe che guarda la valle e sbarra la strada che scende da Passo Buole, il Santuario di San Valentino e poi Ala. La cittadina ha origini antiche e indubbiamente fu luogo di una certa importanza in epoca medievale. Anche qui l’industria serica portò benessere e splendore come lo stanno a testimoniare i palazzi che concorrono alla formazione di un ammirato assetto urbano. A monte dell’abitato s’interna la valle dell’Ala in direzione delle Piccole Dolomiti e del Gruppo dei Lessini. In romantica solitudine, in fregio alla statale, è la chiesa di San Pietro in Bosco e, poco dopo, c’è Vo’ Sinistro. Di fronte, sull’altra sponda dell’Adige, Sabbionara è dominata dallo scenografico castello. Magnifico, chiuso nella robusta cortina merlata, a sua volta sovrastato dal grande mastio, conserva nella “casetta delle guardie” un notevole ciclo di affreschi e, nella “camera dell’amore” del mastio, un’altra serie di pregevoli pitture pure a fresco. Avio, che poggia su un’economia prevalentemente vitivinicola, è il comune all’estremo mezzogiorno della provincia di Trento.
Castello di Sabbionara
Risalendo, in fianco ad Avio, la valletta dell’Aviana si raggiunge il bacino di Prà de Stua e il passo di San Valentino. Qui la strada si innesta sulla “Generale Graziani”, che, provenendo da Ferrara di monte Baldo,porta dapprima a Bocca di Navene in punto panoramico sul Garda e quindi sui fianchi del Monte Altissimo. In prossimità si trovano le due stazioni sciistiche di San Valentino e della Polsa, riunite fra loro da un carosello di impianti a fune.
La zona è di alto interesse per la particolarità della sua flora. Da San Valentino la strada continua a scendere fino all’altopiano di Brentonico: un comune formato da numerose frazioni che nel Medioevo ha svolto un ruolo di rilievo essendo sede del Tribunale di Giustizia dei quattro vicariati di Ala, Avio, Mori e, appunto, di Brentonico.
Da qui si cala a valle, dove la strada si inserisce sulla statale Rovereto-Riva del Garda a mezzo dell’abitato di Mori, il borgo agricolo-industriale sovrastato dal Santuario di Monte Albano.
Continuando sulla rivana, a quattro chilometri è Loppio con la nobile residenza dei Castelbarco, la potente famiglia che nei secoli andai dominò l’intera Lagarina.
Nei pressi di Loppio si devia per salire alla Val di Gresta, nota per la pregiata produzione orticola, in particolare cipolle, patate, carote, zucchine e cavoli.
Piuttosto che una valle, è un susseguirsi di gradoni che ospitano in successione i graziosi centri abitati di Valle S. Felice, Manzano, Nomesino, Pannone, Varano, Ronzo-Chienis. Su ampi terrazzamenti, tracciati da caratteristici muri a secco, si innestano le coltivazioni di ortaggi saporiti e genuini che con le loro proprietà organolettiche e di gusto hanno fatto della Val di Gresta un marchio riconosciuto di qualità e di affidabilità. Una tradizione fatta di prodotti e di ricette che i ristoratori della Valle hanno rivitalizzato in proposte che, inoltre, ben si sposano con la vocazione enologica di Isera e di Mori. La Val di Gresta è particolarmente favorita dal punto di vista climatico grazie alla sua perfetta esposizione verso sud-ovest e per la vicinanza al Lago di Garda.
Val di Gresta - Campo di cavolo cappuccio (foto www.aptrovereto.it)
La zona pedemontana che corre in destra Adige, da Isera a Nomi, costituisce l’ambiente a chiara vocazione residenziale. Le ville e i palazzotti, quasi sempre immersi nel tranquillo verde di un parco, lo stanno a confermare, così come lo sottolineano la felicità dell’esposizione di questa riviera e la bontà del suo clima.
Venendo da Rovereto e lasciato al di qua dell’Adige Borgo Sacco, dopo tre chilometri si è a Isera. Il luogo è delizioso: coperto dal vigneto che dà il profumato “marzemino” si apre sulla città e sulla larga vallata.
Da Isera si è subito a Marano e a Brancolino, dove la chiesetta barocca obbliga ad una sosta: alla ricchezza dei marmi e alle pitture si aggiungono gli stucchi e gli affreschi della volta. Il piccolo chiostro dell’antico convento completa un armonioso angolo del paese.
La strada continua – tagliata fra i pergolati, a loro volta rotti da grandi ciliegi – fino a Villa Lagarina. Prendendo subito a sinistra fino a raggiungere Nogaredo, laddove campeggia il palazzo fortificato dei Loron, e i soprastanti abitati di Sasso e Noarna. In parte a questa si eleva il castello omonimo, o castello Bagarino, austera costruzione nella quale si fanno notare il solenne vestibolo affrescato con vigorose allegorie e la cappellina che conserva una pregevole cantorìa in legno scolpito e dipinto.
Tornando a Villa Lagarina, si avverte subito il sapore di un passato di marca nobiliare: erano difatti qui le residenza delle più autorevoli casate della zona. L’arcipretale con la cappella di San Ruperto, disegnata da Santino Solari e affrescata da Arsenio Ma scagni, rappresenta uno dei monumenti più preziosi del settecento trentino.
A Villa e alla sua frazione di Piazzo succede Pomarolo (il luogo natale dei fratelli Felice e Gregorio Fontana, naturalista l’uno e matematico l’altro), dominato dall’ex ospizio di Sant’Antonio (bella chiesa a due navate con ragguardevole altare ligneo del ‘500 e campanile a doppio ordine di bifore romaniche) all’ombra di alti cipressi e immerso nel vigneto collinare.
Ancora in destra Adige è Nomi, anch’esso guardato dai ruderi di un castello castrobarcense.
Attraversato il fiume, si raggiunge sulla sinistra orografica Calliano, posto sullo sfondo di un rilievo tagliato secondo una linea regolare e incoronato da quello che fu il maggior castello trentino, Castel Beseno. Paesaggisticamente non ha rivali. Più che di castello si dovrebbe parlare di città fortificata, risultante dalla organica fusione dei tre castelli che originariamente presidiavano punti diversi del colle. Ai piedi, di poco spostato a sud, un altro maniero: Castel Pietra, che in passato ebbe un grande valore strategico, tanto da essere ricordato dal Macchiavelli e dal Botta.
L'edificio sorge ai margini di una enorme zona di frana ed è costruito su un grande masso. Il suo forte nucleo centrale, risalente al secolo XIII e ampliato nella forma attuale nel Quattrocento, circondato da quattro corpi fortificati, era collegato all'Adige da una muraglia merlata, le cui tracce sono rimaste nel toponimo Murazzi con cui viene indicata la località: la chiusa controllava il traffico sulla strada verso nord e sud.
Il castello, nonostante le sue funzioni prettamente militari, custodisce al secondo piano del palazzo, nella cosiddetta «Sala del Giudizio», un interessante ciclo di affreschi con scene di vita cortese, risalenti agli anni fra il 1468 ed il 1478.
A breve distanza è Volano (affreschi dei secoli V-XVI nella chiesetta di San Rocco) e Sant’Ilario, dove spicca la chiesetta romanica con il robusto campanile coperto di laterizio veronese, che fanno corpo con il fabbricato che un tempo fu monastero e poi lebbrosario.