La Val di Fassa è percorsa dal tratto iniziale dell’Avisio ed è immersa in uno scenario suggestivo e mutevole: all’orizzonte le vette che vanno dritte al cielo si alternano a gran torrioni e bastionate che mettono in soggezione. Il fondo e le fiancate – una volta sciolta la neve – si fan tutti verdi e si coprono di fiori: una tavolozza viva in contrasto con la nuda pietra corallina che taglia l’orizzonte. E’ la terra per eccellenza del turismo secondo la sua più classica interpretazione: derivando dalla matrice dell’alpinismo si è evoluto e articolato nelle specificazioni più moderne. Il fenomeno è oggi dilatato a tutte le stagioni, ma è soprattutto in inverno che la Val di Fassa offre il meglio di sé, grazie alla fitta rete di impianti di risalita inseriti nel carosello Dolomiti Superski.
Il loro alfiere è indubbiamente Canazei: per ragioni di anzianità, di fama, di motivazioni, d’attrezzatura, di servizi, di ampiezza dell’arco delle sue stagioni turistiche. E’ posto alla base della rampa che sale ai Passi Sella e Pordoi e sulla strada che, proseguendo verso le pittoresche frazioni di Alba e di Penia, porta al bacino della Fedaia, in faccia alla maestosità del bianco nevaio della Marmolada. Il sito è fortemente alpestre esaltato dalla tonalità metallica del Gran Vernel.
Giù per la valle segue subito Campitello, che con Canazei condivide le glorie di una tradizione alpinistica, e poi viene Fontanazzo e viene Campestrin che una lunga schiera di pittori fissarono sulle loro tele. Succedono Mazzin, pera e Pozza. Le due ultime formano pressoché un tutt’uno con Vigo, avendo preso dal turismo un incremento di notevoli proporzioni. Pozza è all’imbocco della pittoresca valle di San Niccolò (tagliata fra le rocce vulcaniche del Buffaure e quelle cristalline di Costabella), mentre Vigo sta a cavallo della strada per il Passo di Costalunga. Si pone fra i due abitati l’antico San Giovanni con la sua monumentale chiesa e lo slanciato campanile. Poco discosta sorge la Scuola Statale d’Arte, alla quale è affidata la funzione di mantenere le posizioni da un artigianato qualificato ed espresso sempre con coerenza.
Prima di Moena rimane Soraga, uno dei villaggi più antichi della vallata e oggi vivace centro turistico. Infine Moena, la “fata delle Dolomiti”, che sorge in una suggestiva conca attraversata dall’Avisio, alla confluenza del rio San Pellegrino e del rio Costalunga.
Val di Fassa in inverno – Soraga (foto pizmeda.altervista.org)
Attorno al solco avisiano si eleva una corona di cime che, fra le dolomitiche, sono delle più belle: cime che diventano cascate d’oro quando il sole viene a squarciare il grigio velario che le ha avvolte durante l’umida notte; cime ramate che sembran vivi giganti quando, al tramonto, sono salutate dagli ultimi raggi di sole; cime che sotto il plenilunio impallidiscono tanto da sembrar zinco.
Sono montagne che solo un lavoro di molti millenni e fatto con la possanza della natura poteva architettare con tanta solennità. L’uomo è sempre stato impressionato e mortificato da questo esaltante spettacolo e solo dopo sforzi sovraumani è riuscito a guadagnare la vetta con corde e chiodi lasciando il sangue su quelle scarnificate pareti e, talvolta, la sua carcassa inerte sul grigio ghiaione che sta sotto.
Negli ultimi decenni a talune quote, a qualche poggio e a qualche forcella, sono arrivati gli impianti a fune dando la possibilità anche ai non virtuosi di avvicinarsi all’incantato mondo di pietra e di guardare dall’alto le piccole cose abbandonate in fondo. Ma le funivie, le telecabine e le seggiovie hanno preminente funzione invernale. Ce ne sono disseminate un po’ dappertutto, fino a formare ragnatela nei punti più battuti, eppur lasciando ancora settori inviolati per un alpinismo puro.
Il Latemar, il Catinaccio, i Monzoni si fanno scarpinare e unghiate come un tempo. Appena l’avvicinamento è facilitato da strade e impianti a fune, ma quelle maestà dolomitiche ripudiano tutt’ora chi non le sa conquistare con umiltà e sacrificio. Un sentiero fatto con la pazienza e secondo l’esperienza dell’uomo di montagna e un rifugio in prossimità delle basi d’attacco delle pareti riconducono a modi di vita spazzati via dalla sofisticazione, dall’artificiosità, dal convenzionalismo moderni. E lì, nella solennità di un nudo mondo di roccia, nel silenzio di un’isola sospesa fra terra e cielo, è un rinascere, è un ritrovare se stessi. Non ci sono macchine a quelle altezze, non ci sono frastuoni: anche gli affanni sono rimasti lontani.
Una particolare menzione spetta alle Torri del Vajolet del Catinaccio, espressione più pura della montagna dolomitica. Inserite in un mondo di pietra di eccezionale bellezza, sono oggetto di continua conquista da parte degli scalatori.
Un gruppo montano è diviso dall’altro gruppo da insellature, sfruttate per farvi correre le vie di comunicazione con i versanti opposti. All’interno dei singoli gruppi e a quote elevate si aprono le bocchette: il classico punto per farvi passare il sentiero. Sono tante queste bocchette e troppi i sentieri per potere solo farne cenno; per cui non si può far altro che limitare la rassegna ai “grandi passi”. A quello di San Pellegrino che da Moena porta all’Agordino, dividendo il plesso porfirico di Cima di Bocche dalla dolomitica Cima di Costabella.
Dall’altra parte della valle, fra il Latemar e il Catinaccio, il Passo di Costalunga collega la Fassa alla Val d’Ega: altro valico con grande respiro e di antica notorietà sul piano turistico. I prati, la foresta, i paretoni del Catinaccio, la verticalità merlettata del Latemar e, più sotto, il laghetto di Carezza dalle trasparentissime acque, sono i motivi dominanti dell’ambiente.
Alla sua testata la valle trova addirittura tre possibilità per comunicare con la Val Gardena e le valli bellunesi. Da Canazei si inerpica verso i Gruppi del Sella e del Sass Pordoi la strada che poi si biforca procedendo con un ramo verso nord e con l’altro verso est: il primo taglia il fianco del Sella e supera il valico vendo in fronte il Gruppo del Sassolungo; il secondo sale al Pordoi per calare, in un susseguirsi di tornanti, su Arabba. Sono questi i veri “grandi” passi del settore dolomitico trentino, ai quali va aggiunto il Rolle. Su di essi, dove corrono anche gli spartiacque, non difettano le strutture alberghiere per il soggiorno soprattutto dell’escursionista, dell’alpinista e dello sciatore.
E poi c’è la Marmolada. La Montagna scende sul versante nord coperta dal nevaio per andare a specchiarsi nel bacino che tiene l’intera insellatura; su quello opposto cala a picco con una bastionata di spettacolare grandiosità. Fra tutte le costruzioni dolomitiche che le fanno corona ad essa spetta meritatamente il rango reale.
Torri del Vajolet